La Commedia dell'Arte
(By Luigi Meneghelli - Verona-Italia)


...Una pittura della perfezione per esibire l'imperfezione, un lavoro "senza errori" per sottolineare l'errore, lo stravolgimento che l'immagine custodisce nel proprio corpo. Nezir procede sempre dentro questa fatale deviazione, questo torbido scarto : uno sguardo analitico, una compiutezza di forme, una cosmesi cromatica infallibile che introduce l'idea dell'oltre, del celato, della tenebra, o quantomeno l'allusione a una misteriosa, spaventevole trasformazione.

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La figura e il volto vengono spinti avanti, in un primo piano urtante, colmano la pagina della pittura di una ingombrante presenza. Ma perchè si parla di urto e di ingombro di fronte ad un'immagine che dovrebbe invece dire del dentro, spalancare ai tratti segreti dell'umano ? Forse perchè i tratti in realtà sigillano il volto, facendone una facciata chiusa, un mondo segregato, una forma sfuggente. Forse perchè tutti gli sguardi hanno "un'espressione senza espressione", fissano il vuoto, l'altrove. Forse perchè ogni "ritratto" ha un che di standardizzato, di robotico. Ma, in fondo, è mai esistito un artista che abbia saputo superare la barriera della fisionomia ? "lo non conosco un solo pittore nella storia dell'arte - ha scritto Antonin Artaud - da Holbein a Ingres, che questo benedetto volto d'uomo, sia giunto a farlo parlare".

B Ma probabilmente l'obiettivo di Nezir è proprio opposto : e cioè quello di far tacere il volto, o meglio di dimostrarne l'impossibilità alla voce, all'espressività, al moto. Ogni figura umana infatti è come costruita attraverso inserti o montaggi meccanomorfici (rotelline, viti, transistors, calotte d'acciaio, ecc.) : una sorta di ars combinatoria, di puzzle arcimboldesco dell'età postindustriale, dove però tutti gli ingegnosi "capricci" dei pittore manierista non mirano più a fondare una testa, ma ad affondare direttamente in essa, fino a farne parte integrante, fino a mescolarsi, 'in una sorta di incredibile fusione, con quelli che sono i naturali ritmi anatomici. A ragione l'artista turco sostiene che si tratta di una pittura "fisiomeccanica", di una fisiologia cioè profanata dalla tecnologia.

     Qui non ci si trova di fronte ad un"'immagine a chiave", quanto ad un'immagine fin troppo lampante, scoperta nei suoi rimandi simbolici. Dichiarativa, assertiva, al punto da diventare una sorta di "sigla blasfema" che si ripete in mille variabili.

     Ma il termine di "sigla" potrebbe far pensare a qualcosa di afferrabile, a un codice .compositivo

fin troppo smascherato.

Cosa che invece non si può dire di Nezir, nel quale l'obiettivo ideologico è conseguito attraverso una incredibile contaminazione di stili, di echi che vanno dai nudi leonardeschi alle crude deformazioni del Bruegel il vecchio, dalle esuberanti metamorfosi dei Parmigianino alle inquietanti prospettive aperte di Redon.

   Quello che interessa è raggiungere immancabilmente un processo di scivolamento dal certo all'incerto, dalla fisica 
alla metafisica.


  Soprattutto nei dipinti più recenti la figura pare avere perso qualsiasi rigorismo compositivo, quel senso di durezza visiva data dal suo trascolorare verso il metallico e l'acciaiesco, e pare invece praticare una poetica della "nuance", convertirsi nel segno dei trapasso. Essa non si chiude più né chiude più, non agisce più come corpo opaco e coibente, ma diventa in un certo senso un corpo trasparente, che lascia filtrare lo sguardo oltre se stessa, immettendolo in un gioco spaziale sdrucciolevole e impalpabile.

E qui davvero vengono alla mente certe soluzioni Leonardesche che sembrano basarsi sempre su un'attenzione penetrante, capace di superare il velo delle apparenze e far continuare la corsa della pittura dentro una sorta di viaggio fantascientifico verso gli abissi dell'organismo umano o verso gli sprofondamenti della natura. Negli ultimi lavori di Nezir si accende proprio una strana luce che rende visibile tutto il brulicare di ombre, di presenze che s'instaura alle spalle della figura. A volte pare perfino che l'antica unità dei corpo si sciolga in una serie Innumerevole di maschere, di pellicole, di doppi (i famosi replicanti?), senza più confini netti.

    Si può dire allora che l'uomo è evaso da se stesso e si ècon-fuso con l'infinità del cosmo ?

... Nezir non rinuncia certo al suo atteggiamento accusatorio, al suo tentativo di mostrare la caduta di ogni identità delle persone e dei mondo. Così quella che dovrebbe essere una fuga prospettica in realtà si dichiara solo come forma che si disfa e si dilegua tra un eccesso di oscurità o di bagliori. Il seguirla diventa impresa da trapezista, perchè qui tutto s'everte e s'inverte : si dà come un'autentica congestione di dettagli, quasi che l'artista volesse arrivare alla cosa minima, molecolare, alla polvere, per meglio tradurre l'idea del frantumarsi dei quotidiano. E in più tutto quell'aggallare, quell'alzarsi ed abbassarsi vertiginoso non mette in vista certo immagini dei naturale, ma immagini della società del consumo (palazzi, aerei, armi, idoli pubblicitari, ecc.) : in questo modo ciò che esce dalla porta (dalla figura), rientra dalla finestra (dal mondo esterno) : la stessa cromìa acciaiesca, lo stesso senso di occlusione, la stessa forzatura compositiva...

  Ma si sa che ogni forzatura porta inevitabilmente verso l'elemento caricaturale, verso lo straniamento della maschera. E la maschera, per dirla con Swift, è il gioco della negazione, è il dar a vedere una cosa che non c'è. Questo risultato Nezir sembra raggiungerlo soprattutto nella grafica, un addensamento di segni minimi, di punteggiatura insistita per rivelare qualcosa di fantasmatico o di consumato dall'ironia. C'è il mitico satiro che si accosta ad una discinta Monna Lisa, c'è un rincorrersi di fisionomie quasi rotanti che possono ricordare "Caratteri e Caricature" di W. Hogarth, c'è un sogghigno popolare e demoniaco alla Bruegel ... Ogni nuova spinta, ogni nuova violazione non aggiunge, ma toglie, non avvicina alla realtà, ma alla sua falsità, alla sua pantomima, alla sua commedia.

   E mai come la definizione che il Feibleman dà della commedia può farci capire in profondità il senso dell'opera di Nezir : "La commedia, afferma il Feibleman, è il fallimento a cui vanno incontro le cose come sono nel tentativo di approssimarsi alle cose come dovrebbero essere". E Nezir vuole rappresentare proprio questo fallimento, questo scacco : l'impossibilità di toccare l'essere, di raggiungere il cuore delle cose.

   Ma nel far questo l'artista spesso finisce per smarrirsi o per perdersi negli specchi e ritrovarsi, magari come l'uomo borghesiano, di fronte a se stesso, alla propria effigie. Questo è il gran gioco e non se ne esce : è un pendolo tra realtà e sogno, tra squisitezze tecniche e arcane segretezze, tra l'io e l'altro.